Laura Federici

Laura Federici: la ricerca del tempo nello spazio

La prima domanda che rivolgo a Laura Federici entrando nel suo laboratorio e osservando le opere completate e quelle in fase di lavorazione è se il punto di partenza da cui trae ispirazione siano immagini fotografiche. Risponde che in effetti quando inizia un nuovo lavoro su tela non sono le fotografie a fornirle l’input iniziale, piuttosto sono dei video, riprese realizzate durante i suoi molti viaggi, ritagli di vita catturati per sempre da una lente, talvolta anche a bordo di mezzi in movimento. E lì capisco, si apre un mondo nuovo nella lettura e nell’interpretazione della sua pittura.

Laura Federici

La parola chiave è il tempo, in particolare lo scorrere del tempo intrappolato in una immagine, è questo, volendo trovare un filo conduttore tra le due macroaree tematiche in cui si inserisce la poetica di Federici, un inganno costruttivo nel quale la realtà accoglie frammenti sparsi, ricostruiti su una base mnemonica di ricordi e fonti registrate. È esattamente ciò che accade nella memoria di ciascuno: spesso vengono ricostruiti fatti ed eventi personali non soltanto sulla base di ricordi confermati, ma anche e soprattutto sulla trama intessuta da immagini riprese, racconti che vengono tramandati da parenti e conoscenti, e fantasie ritenute assolutamente autentiche che vanno a colmare gli spazi vuoti, gli angoli ciechi della memoria.

Il lavoro e la ricerca di Laura Federici attuano un progetto di ricostruzione che tiene conto della fonte video di partenza, del contesto oggettivo rappresentato e di quella sfera ottico-emozionale che riempie gli spazi rimasti vuoti, quasi come il bisogno di colmare dei silenzi dolorosi. Ecco che nella rappresentazione di una città familiare come Roma, che si riconosce immediatamente a una prima osservazione, se studiata in maniera attenta si scorgono incongruenze geografiche delle architetture e dei monumenti. Si tratta di un errore voluto? Indagando meglio la poetica di Federici si può parlare di un recupero di quella parte di memoria che tende a essere persa, definita scientificamente curva dell’oblio, o come viene spiegato dalla stessa artista, è il desiderio di catturare la bellezza di un movimento semplice come l’oscillazione di un braccio di un passante colto nell’atto di camminare lungo una strada di un luogo remoto dell’Asia.

Sulla base di questa ricerca, a livello grafico la pittura di Federici ripercorre gli studi e le esperienze del cubismo e del futurismo, dove tempo e movimento si compenetrano, si destrutturano e infine si ricompongono; a livello cromatico le pennellate sono cariche di una forte emozionalità e l’utilizzo di tonalità arbitrarie rimanda alla tradizione espressionista. Le macro aree dei soggetti rappresentati si possono suddividere in metropoli e paesaggio marino, nei quali la presenza dell’uomo è predominante, e sono tele dai formati prevalentemente orizzontali, quasi a voler dare una lettura terrena del contesto a misura d’uomo; poi vi sono le rappresentazioni di paesaggi boscosi, nei quali la presenza umana è del tutto assente e i tagli verticali conferiscono un’indagine proiettata verso la trascendenza, taglio ascendente, e al contempo un’analisi introspettiva, taglio discendente, dove il dialogo tra l’uomo-dio è più sottile e si gioca tutto nei contrasti tra luci e ombre, conscio e inconscio.

La pittura brillante e liquida di Laura Federici è uno specchio dell’umanità che riflette le luci cangianti di un pensiero e di una personalità in continua evoluzione, stato in cui non soltanto si riconosce il processo creativo dell’artista, ma che racconta e interpreta una condizione comune a tutti e in cui chiunque può riconoscersi.

Rosanna Accordino

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