Il progetto presentato da Daniela Di Lullo ripercorre una quotidianità fatta di attese e distanze, un modo di vivere divenuto consuetudine in un periodo storico di pandemia globale.
Con il distanziamento, nell’individuo è emerso un profondo senso di malinconia che lo ha reso consapevole del bisogno dell’altro, del contatto fisico e dei riti collettivi.
Lo spleen, dal greco σπλήν (splḕn), milza, racconta uno stato esistenziale di disagio e inquietudine. Nella medicina è associato agli umori e in particolare alla bile nera prodotta dalla milza, sintomo di un profondo malessere.
In maniera simile, nel cervello si accumula tutto ciò con cui si entra in contatto, ed è sufficiente l’osservazione di una sfumatura nell’orizzonte o di un’espressione, l’ascolto di un brano musicale o di un rumore familiare, la percezione di un’ombra appena smossa per far affiorare ricordi, persone e sentirne subito la mancanza.